Gent.le direttore,
in merito alla Sua risposta al mio articolo in memoria di Marco Pannella (“Con un canestro di parole nuove”), comparso sulle pagine del giornale da lei diretto, mi preme replicare con alcune considerazioni. In primis, a titolo personale e come membro di direzione dell’associazione radicale di Cuneo “G. Donadei”, le rivolgo i più sentiti ringraziamenti per lo spazio e il tempo dedicatoci: in quanto radicali (la storia ne è testimone), sia a livello locale che nazionale, siamo stati spesso vittime di ostracismi mediatici, quando non di vere e proprie negazioni di spazi pubblici e tribune di varia natura, in barba a qualsiasi normativa in merito. Anche per articoli non strettamente inerenti alla mera attività “politica” di questo o quel governo/amministrazione.
Detto ciò, leggo con piacere misto ad un pizzico di mestizia che la sua storia è stata, seppur in parte, una storia radicale; da quel che scrive, ha contribuito anche lei con la sua militanza attiva a rendere questo paese più civile sul fronte dei diritti, in tempi neanche troppo lontani. E ciò le fa onore, ma mi chiedo e le chiedo, se è lecito, cos’ha poi fatto sì che ne prendesse le distanze? Quale scelta politica, magari non abbracciata e condivisa, ha causato la sua distanza da questo mondo, quello del Partito Radicale, certamente un mondo complicato e allo stesso tempo affascinante? E in quali tempi? Queste sono domande di pura curiosità personale: ho conosciuto centinaia di persone, un po’ nostalgici della “golden age”, che si definiscono ex radicali o che in un modo o nell’altro hanno partecipato con gioia a diverse lotte per poi defilarsi. Anche io ho avuto questa tentazione, non lo nego…ma purtroppo/fortunatamente sono ancora qui!
Nel merito della sua gentile risposta, mi preme, altresì, sottolineare quelle che sono, a mio modesto avviso, alcune affermazioni su Marco Pannella che non trovano riscontro nella storia e nei fatti. Partiamo dalla prima. Lei definisce Pannella “non atlantista”: ciò non corrisponde al vero. Già agli albori della sua nascita, siamo a metà degli anni 50, il PR abbracciò in politica internazionale l’“occidentalismo” e l’anticomunismo (su quest’ultimo termine dirò dopo), favorevole al processo di unione europea e all’alleanza atlantica. Quest’ultima, però, non da leggere come imposizione dall’alto, ma sempre analizzata nei tempi in cui è avvenuta. Faccio un esempio (ma è solo uno fra i tanti e, forse, quello più chiaro): siamo negli anni 90 e la guerra di disgregazione della repubblica Socialista Federale jugoslava è in atto. Già precedentemente il PR, con Pannella in testa, aveva ammonito, chiedendo iniziative adeguate, l’allora CEE di sobbarcarsi l’enorme fatica di affrontare con coraggio la crisi jugoslava e di porsi come mediatrice e garante del processo di trasformazione della nazione da federazione comunista a federazione democratica. Quando Milosevic espose la teoria della “grande Serbia” (che ricordava clamorosamente il pangermanesimo di nazista memoria e “epifanizzava” il “panrussismo” oggi attualissimo) bisognava scegliere da che parte stare. E qui le presento, al contempo, la seconda mia obiezione alle sue parole: Pannella pacifista ad oltranza. No, non lo era e non lo è il radicale, che si chiami Pannella o meno. Allora con Milosevic, ieri a Monaco 1938 e oggi in Russia: bisogna scegliere. Certo, dopo aver tentato tutte le vie diplomatiche possibili e immaginabili (per la Jugoslavia l’ultimo in ordine di tempo fu il Congresso della Lega dei Comunisti di Jugoslava (Belgrado, 01/1990), quando la fuoriuscita delle delegazioni slovene e croate sancirono la fine del partito unico), ma bisogna scegliere!
E nel Capodanno del 1991 Pannella e Olivier Dupuis si recarono al fronte indossando in segno di solidarietà la divisa mimetica dell’esercito croato (sotto attacco serbo) e con loro anche Roberto Cicciomessere, Lorenzo Strik Lievers, Lucio Bertè, Renato Fiorelli e Alessandro Tessari trascorsero quella notte (di festa dall’altra parte dell’Adriatico) senza armi accanto alle forze di difesa croate sotto il tiro dell’artiglieria serba! Questo non è, vivaddio, per nulla pacifismo: a Osijek, il 31 dicembre del 1991 Pannella spiegò quel gesto. Con la loro azione nonviolenta i radicali intendevano denunciare l’indifferenza e il cinismo dei governi europei. Inoltre, con l’appello alla NATO (eccolo, l’atlantismo) e all’UE datato maggio 1995 (a firma Pannella, Daniel Cohn Bandit e Bernard Henry Levy) volevano ribadire con forza l’urgenza di un intervento militare armato per fermare l’aggressore e riequilibrare i rapporti di forza in campo per poi facilitare l’inizio della negoziazione di pace e fine ostilità. Aggressore noto a tutti…mi ripeto: Adolf Hitler l’altro ieri, Slobodan Milosevic ieri, Wladimir Putin oggi. Cosa accadde invece, abbracciando la strada del pacifismo e del “W la pace”? Si perse tempo e migliaia di vite umane: da Monaco 1938 ad oggi. Vico insegna ancora tanto…
Idem per il Kosovo: bisognerà attendere il 1999 l’intervento dei caccia NATO per porre fine alle scorribande oscene di Milosevic e, a ruota, la rappresaglia albanese in quelle zone contro la minoranza serba presente: tutto ciò fu raccontato sapientemente (e mi preme ancor più ricordare qui la sua figura, spesso dimenticata) dal giornalista freelance, collaboratore di Radio Radicale, Antonio Russo, che documentò il tutto puntualmente: si confuse coi profughi, accompagnandoli nei loro pogrom e narrò le vicissitudini e le violenze subite dalla popolazione albanese da parte dei serbi (Antonio Russo fu ucciso nell’ottobre del 2000 in Georgia da sicari russi, mentre svolgeva anche lì un lavoro analogo!).
A me, tutto ciò ricorda tanto l’Ucraina, e a lei? Il pacifismo fa danni e ne fa di enormi perché la pace non è uno strumento, ma un obiettivo. Lo strumento è la lotta nonviolenta, la strategia per il disarmo, il tentativo fino all’ultimo della strada diplomatica, ma se ciò non produce risultati e, in più, c’è un aggressore ben preciso e un aggredito ancor più preciso è dovere intervenire e appellarsi a chi può intervenire. Per non essere novelli Chamberlain 2.0!
Aggiungo ancora un pensiero sull’anticomunismo e antifascismo di Pannella. Marco non era “anti” – nulla (al massimo sì, anticlericale certamente): quel prefisso “anti” lo sostituiva sempre con “pro”. E non per buonismo. Non era antifascista, era NON fascista: partecipò come unico leader non schierato, al congresso dell’allora MSI del 1982 e poi denunciò, ove possibile e con tutti i mezzi, il fascismo che subdolamente si era tolto la camicia nera per indossarne una bianca con cravatta e infiltrarsi nei gangli dello stato: partecipate, commissioni varie, ma anche ASL, fondazioni, etc…e soprattutto denunciò il sistema fascista partitocratico; non era anticomunista, era NON comunista: a tal proposito, ricordo i mille tentativi, anche su un giornale fazioso come “Paese sera”, nel cercare di convincere il PCI togliattiano a lasciar perdere come interlocutori i partitini comunisti europei dell’epoca e ad interessarsi a tutto l’area socialdemocratica e liberaldemocratica e socialista in genere, seguendo una linea decisamente “ultramigliorista”. Questi sono solo alcuni ricordi ed esempi…
Chiusa questa mia tanto noiosa quanto dovuta, per amor del vero, parentesi, accolgo con piacere il suo invito finale alla riflessione, tra noi radicali. La rassicuro: noi riflettiamo eccome, ci interroghiamo e litighiamo spessissimo a livello interno (con danni enormi, soprattutto in termini di dispersione di ciò che amo definire “patrimonio radical-nazionale”), spacchiamo il capello su metodo, statuti, norme. E, non lo nego, stiamo vivendo anni difficili, dopo la morte di Marco. Ma il suo messaggio e il suo essere visionario ci appartiene ancora e ne facciamo mantra quotidiano. Per ciò che si deve, ognuno nel proprio piccolo: per rendere possibile il probabile.
Con gratitudine
Claudio Marengo - Direzione Radicali Cuneo “G. Donadei”