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Giornata della salute mentale e neurodivergenze

11-10-2023 14:30

Alice Depetro

Blog di Alice Depetro,

Giornata della salute mentale e neurodivergenze

Una volta erano chiamate strane, anormali, bizzarre, diverse. Ad oggi, le persone neurodivergenti sono descritte come persone che presentano semplicem

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Una volta erano chiamate strane, anormali, bizzarre, diverse. Ad oggi, le persone neurodivergenti sono descritte come persone che presentano semplicemente un funzionamento neuro-psichico diverso da quelli che troviamo maggiormente tra la popolazione generale. Tra esseri umani siamo tutti diversi, ma esistono dei pattern di funzionamento che sono più rari da trovare di altri, e quindi che divergono dalla norma. Le neurodivergenze più comuni e conosciute sono l’autismo, l’ADHD, la sindrome di Tourette, la discalculia, i disturbi bipolare e di personalità, la schizofrenia, e molte altre. 

 

Ieri ricorreva la giornata mondiale della salute mentale, fondamentale per ribadire come la nostra salute debba essere considerata in ogni sua sfumatura, e che le malattie mentali sono valide e vere tanto quanto quelle fisiche, a prescindere dagli stigmi che ancora oggi aleggiano su questi temi. In questo contesto, credo che le persone neurodivergenti subiscano due diverse tipologie di discriminazione. Da un lato, spesso, quando la loro neurodivergenza viene riconosciuta, vengono patologizzate, descrivendo la loro diversità come una malattia, un qualcosa di cui si è affetti e condizionati sempre in modo negativo. Da questa visione nascono espressioni non corrette e poco felici come “affetto da autismo”, “soffre di ADHD”, e così via. 

 

Le neurodivergenze sono semplici funzionamenti diversi, non patologie. E per quanto non ci sia ovviamente nulla di male nell’avere malattie, bisogna però non patologizzare chi è meramente differente. Facciamo un po’ di chiarezza: nel DSM-V, il manuale ad oggi più aggiornato di psichiatria, viene detto che una condizione, per poter essere classificata come disturbo mentale, deve causare “disagio clinicamente significativo”, e cioè una compromissione forte nei vari ambiti di vita di una persona. Il fatto che la mente di alcuni funzioni in modo diverso, non implica che necessariamente questo influisca in modo negativo o paralizzante sulla sua vita. 

 

La neurodiversità, a seconda dei casi e delle persone, può essere vissuta come una risorsa, come una caratteristica neutra o anche a volte negativa, sentita come una disabilità, senza che questa negatività però sia una caratteristica intrinseca ad essa, e che quindi la classifichi come una malattia. La neurodivergenza, dunque, non è una patologia, non è qualcosa che si ha, ma è una descrizione di come si è. Non è qualcosa che si cura o si dovrebbe curare; al massimo, se persistono elementi che influiscono in modo sfavorevole sulla propria vita, si possono attutire con alcuni farmaci, o rendere meno disfunzionali con percorsi terapeutici. La distinzione tra neurodivergenza e malattia può sembrare lieve o addirittura confusa, soprattutto se si prendono in considerazione casi in cui i tratti neurodivergenti limitano di molto l’esperienza di vita. 

 

Dobbiamo però rammentarci di due cose: il mondo e i suoi sistemi sono a misura di persone neurotipiche, perché banalmente sono la maggior parte della popolazione. Questo significa che una persona neurodivergente incontra la difficoltà di doversi rapportare costantemente con modelli sociali che non le appartengono e che vivrebbe meglio semplicemente in modo diverso, con modelli scolastici costruiti per essere utili per le menti neurotipiche, e non per quelle differenti, con orari lavorativi non consoni al proprio funzionamento, con regole sociali che non le apparterrebbero, e così via. La negatività che molte volte vive una persona neurodivergente non è data dalla neurodivergenza in sé, ma dal fatto di doversi adattare in un contesto che non è per nulla a sua misura. 

 

Questo dimostra che un tratto identitario come la neurodivergenza non sia da curare o da far guarire, ma sia semmai qualcosa da conoscere di se stessi; al limite si applicheranno delle strategie per farla risuonare più in armonia con il mondo circostante. La seconda discriminazione è un po’ l’opposto: se la neurodivergenza invece non viene riconosciuta, sia a livello medico con una diagnosi, sia a livello sociale relegandola alla frase “massì tanto siamo un po’ tutti strani”, allora non vengono riconosciute le difficoltà e le possibili disabilità derivate da essa, non viene validata la fatica che ci può volere nel vivere in un contesto che funziona in modo diverso e a volte incomprensibile, non vengono ben contestualizzate le patologie che possono scaturire da questa frustrazione, tra cui, ad esempio, fenomeni depressivi e ansiosi. 

 

Le persone neurodivergenti in genere presentano un alto tasso di disturbi mentali, ma non perché la neurodivergenza sia da considerarsi tale, come abbiamo visto prima. Riconoscere i tratti neurodivergenti di una persona, validarli, significa allora avere un quadro clinico e personale completi, che possono così facilitare, da una parte, il raggiungimento di una qualità di vita soddisfacente a livello medico; dall’altra, un pieno riconoscimento sociale della propria identità, della propria differenza e delle proprie potenzialità e fragilità, come per qualsiasi altra persona. 

 

Mi auguro che la giornata mondiale della salute mentale possa sempre più fungere da megafono anche per quelle condizioni che non sono ascrivibili alla patologia, ma che per alcuni aspetti le gravitano attorno, e che avendo dei confini così labili, vengono spesso dimenticate, sottovalutate, confuse o addirittura ancora discriminate.

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